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Fiumicino, colonne di marmo scoperte sul letto del Tevere

Alessandra Ghelli: “Le attività nel mese di maggio si sono concentrate sui fondali della Fossa Traiana”

 
di Dario Nottola

Alla profondità di cinque metri, scoperte tre colonne di marmo romane sul letto del Tevere nella fossa Traianea, il canale navigabile di Fiumicino, grazie ai sub dei Carabinieri e del Parco Archeologico di Ostia Antica.
 
I sub sono partiti dalla foce del Tevere e hanno risalito il corso della Fossa Traiana, il canale di Fiumicino realizzato dagli architetti dell’impero. Da Capo Due Rami, raggiunto con due mezzi navali del Nucleo Carabinieri Subacquei di Roma, si sono svolte numerose immersioni con la partecipazione dell’archeologa Alessandra Ghelli, neo responsabile del Servizio tutela del patrimonio subacqueo, appena istituito dal Parco archeologico di Ostia antica.
 
Per Alessandro D’Alessio, direttore del Parco, “Non poteva essere più fortunato il battesimo del nuovo servizio di tutela archeologica subacquea del Parco di Ostia antica. La prima campagna portata a termine dalla dottoressa Alessandra Ghelli, con l’impareggiabile aiuto del Nucleo Carabinieri subacquei di Roma e del Nucleo Tutela del patrimonio culturale di Roma, ha portato all’individuazione nelle acque del Tevere, alla profondità di cinque metri, di tre grandi fusti di colonne in marmo. Pur parzialmente interrate nel letto e nell’argine, le colonne superano il metro di diametro e i due metri e mezzo di lunghezza”.
 
“Ma come sono finite nel Tevere? La Roma imperiale – sottolinea il Parco Archeologico – nei primi secoli dopo Cristo, era senza dubbio l’approdo più ambito, il più fiorente dei mercati per i marmi provenienti dalle cave disseminate lungo tutto il Mediterraneo, dalla Spagna al Mar Nero, passando per le coste egiziane“.
 
“A volte una piccola parte dei carichi affidati al trasporto fluviale contro corrente lungo il Tevere, destinato alla stazione dei marmi al Testaccio, andava soggetto a incidenti di percorso e una volta finita fuori bordo diventava difficilmente recuperabile, specie se di dimensioni imponenti come le nostre colonne”.
 
“Con il prossimo appuntamento con la tutela del patrimonio culturale subacqueo proveremo a prelevare piccoli campioni, per determinare il tipo di marmo e la sua provenienza. L’Arma dei Carabinieri ha già assicurato il suo contributo e insieme speriamo di giungere nel medio termine al recupero delle colonne”, è aggiunto.
 
Sul fondo visibilità pari a zero, la scoperta è avvenuta al tatto. Nel corso delle diverse immersioni, i Carabinieri si sono imbattuti in numerosi detriti sommersi tra cui resti di scafi, carcasse animali in disfacimento, ma anche tronchi di medie e grandi dimensioni trasportati dalla corrente.
 
Le attività nel mese di maggio si sono concentrate sui fondali della Fossa Traiana ovvero del canale artificiale scavato dall’imperatore Traiano per mettere in collegamento il porto, il suo porto, con il Tevere e che corrisponde all’odierno canale di Fiumicino”, racconta l’archeologa e subacquea Alessandra Ghelli.
 
Quello fluviale è uno degli ambienti più ostili dove si possa operare e, nonostante le profondità esigue, non superiori agli 8-10 metri, le possibili minacce e pericoli sono molteplici ed invisibili. Infatti già dopo i primi 2 metri, a causa dell’elevata densità del limo disciolto, l’acqua assume una colorazione marrone nerastra per diventare scurissima in profondità, impedendo pertanto ai Carabinieri subacquei di giovarsi della vista, che di fatto nelle operazioni è stata sostituita interamente dal tatto. I Subacquei, costretti ad utilizzare una zavorra maggiorata, indispensabile per essere più aderenti al fondo e contrastare efficacemente la corrente, si sono mossi a carponi usando esclusivamente le mani per tastare ciò che li circondava.
 
“Sebbene i fusti di colonna siano di grandi dimensioni – prosegue Alessandra Ghelli – trovarli e individuarli è stato difficoltoso, è stato un lavoro prettamente tattile, soprattutto per il grado di visibilità che sul fondale è pari a zero. Ma l’altra difficoltà è costituita sempre dalla presenza delle correnti, per cui quando si lavora in immersione nel Tevere ci si deve ancorare sul fondale in maniera molto solida e si deve risalire la corrente quasi come fossimo dei granchi”.
 
 
 

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