Le crisi come vengono così passano
Le case non si vendono, il commercio langue, lo scandalo della politica incombe, il lavoro manca. Sul ponte sventola bandiera bianca? Ci arrendiamo? Ma no coraggio. Ricordate come diceva il compianto Peppino De Filippo: “addà passà a nuttata”.
Detto questo non vogliamo certo nascondere l’attuale esistenza di una grande e grave crisi economica. La prima vera crisi a Roma ci fu nel 1885. Ed allora la causa principale fu innanzitutto la crisi edilizia. Dal 20 settembre 1870 in poi, con la breccia di Porta Pia, e la resa del generale Kanzler al generale Cadorna, con una popolazione di 245.000 abitanti, Roma entrò a far parte del Regno d’Italia. Il 28 novembre 1871 fu redatto il primi piano regolatore della città, in gran parte frutto degli interessi già costituiti, tra gli imprenditori venuti per costruire, e i nobili e gli ecclesiastici romani ansiosi di vendere a buon prezzo le loro meravigliose tenute agricole con ville sontuose, da trasformare in quartieri residenziali,
In tutta Roma tra il 1870 e il 1878, vennero costruiti 2.745 nuovi edifici e 795 sopraelevazioni, per un totale di 284.190 vani. La prevalenza nella popolazione di impiegati a basso reddito finì con il provocare un forte squilibrio tra la domanda e l’offerta. La crisi scoppiò in tutta la sua gravità nel marzo del 1888. Molti costruttori fallirono, seguiti da istituti finanziari. La chiusura di cantieri, con 3.270 licenziamenti, diede luogo a proteste e agitazioni operaie.
In quell’anno vengono rinviati ai luoghi d’origine, in Italia, 1.200 disoccupati, nel 1889 gli edili in tumulto spaccarono le vetrine di via Frattina e nel 1891 vi furono arresti durante la manifestazione del primo maggio; nel solo 1893 una trentina di bombe esplodono in tutta la città e Francesco Crispi sfugge a un attentato anarchico.
Non mancano i moti a sfondo nazionalista: manifestanti assaltano l’ambasciata francese a Palazzo Farnese in seguito alle aggressioni in Provenza a danno degli italiani che lavoravano a salari più bassi dei colleghi transalpini, come oggi fanno gli immigrati qui da noi.
In quegli anni nel disegnare la nuova città si procede per sventramenti: si apre via Nazionale e la sua prosecuzione in corso Vittorio, si lavora a via del Tritone, si allarga il Corso all’altezza di piazza Colonna. La costruzioni degli argini sul Tevere fa sparire monumenti, teatri, interi quartieri e porti fluviali. La piena dell’anno 1900 non farà più paura.
Agli albori del secolo scorso la città conta già 462.473 abitanti, ammucchiati in un intrigo di vicoli medievali e barocchi, in un pittoresco affastellarsi in una stessa area di palazzi aristocratici, casupole, chiese e conventi. E poi venne lui. E nel 1929 venne anche la crisi mondiale.
Nel 1920, Antonio Munoz dirige le demolizioni che portano a scoprire l’Area Sacra di Piazza Argentina e nel 1937 – 38 apre il cantiere degli scavi presso il mausoleo di Augusto, Il campidoglio viene progressivamente isolato dal tessuto cittadino: sul versante est, sotto la guida dell’archeologo Corrado Ricci, sono rasi al suolo venti isolati e sbancata la collina della Velia per consentire l’apertura della via dei Monti (poi via dell’Impero ed ora via dei Fori Imperiali).
Sul versante ovest, Munoz dirige i lavori per aprire la via del Mare, (attuali vie del Teatro di Marcello e via Petroselli), eliminando completamente l’antico quartiere che si estendeva intorno a piazza Montanara.
Nel 1932 il “piccone demolitore” spazza via anche la Spina di Borgo, distruggendo seimila vani, per creare via della Conciliazione. Sorgono così le borgate del Prenestino, di Pietralata, di San Basilio, del Trullo e di Primavalle.
Nel 1939 il Capo di gabinetto di Mussolini ordinava al Governatore di Roma, di “rimpatriare” alcuni operai disoccupati (italiani) che si erano rifugiati in alcune baracche sulla spiaggia di Passoscuro. Poi venne la seconda guerra mondiale. Altro che crisi.
Cosa c’è di nuovo sotto il sole? Le crisi come vengono così passano. Ed è proprio durante il periodo di crisi, in attesa di tempi migliori, che bisogna spremersi le meningi per creare nuovo lavoro, nuovo sviluppo e per migliorare la città.
Cosa c’è da meravigliarsi se a Passoscuro, in attesa di tempi migliori si progetta di imbrigliare le acque del fosso di Tredenari per eliminare il rischio, anche se molto remoto, dell’esondazione e si arricchisce la borgata di un polmone di verde pubblico, di nuova viabilità e adeguati parcheggi? Cosa c’è di tanto strano nel chiedere la riqualifica del lungomare, e nuove abitazioni per espandere il perimetro della borgata? Il mondo è pieno di quartieri e lungomare riqualificati e di grandi fiumi deviati.
Anche questa crisi passerà e in attesa di tempi migliori progettiamo il futuro. Non è più possibile pensare che Passoscuro e il suo lungomare possano restare così in eterno.
Lettera inviata da: Nicola De Matteo (vedi foto) – Lista Civica Perna
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