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Delitto di via Poma: un giallo senza colpevoli da oltre 30 anni

Su questo delitto ora sembra scendere un triste sipario di impotenza a fare giustizia


di Patrizio Pavone
 
Con questa puntata si conclude il nostro viaggio, durato diversi mesi, in circa 20 puntate, su quei delitti, compiuti in Italia, che non hanno mai visto assicurati alla giustizia gli autori criminali, che sono riusciti a non essere individuati per una serie di circostanze. Cold Case, ovvero casi freddi, molto spesso dimenticati dalla giustizia. Ma non è il caso del delitto di via Poma che ha visto la riapertura delle indagini proprio in questi ultimi mesi.
 
Simonettta Cesaroni, di circa 20 anni, è una segretaria che lavora solo di martedì e giovedì pomeriggio negli uffici AIAG in via Carlo Poma 2 nel quartiere Prati-Delle Vittorie a Roma,  un grande stabile con portiere. La ditta si occupa di amministrare gli Alberghi della Gioventù. Ora è sepolta nel cimitero di Genzano. Cosa molto singolare: nello stesso comprensorio venne uccisa un’altra donna nel 1984, soffocata con un cuscino. Anche questo caso rimane irrisolto.
 
Nel pomeriggio del 7 agosto 1990, Simonetta si trova sola nell’ufficio. Avrebbe dovuto rivedere dei conti dell’azienda e poi andare in ferie estive. La sera, i familiari di Simonetta, non vedendola tornare a casa si allarmano. Non hanno il numero di telefono del suo ufficio (ancora non esistevano i cellulari). La sorella Paola Cesaroni va a prendere il datore di lavoro di Simonetta, Salvatore Volponi e suo figlio Luca e si recano in via Poma. Qui la trovano uccisa da 29 coltellate.
 
La ferocia delle coltellate, dal viso ai seni, al pube, l’asportazione della biancheria intima, mai più ritrovata, il furto dei suoi orecchini, anello e bracciale d’oro, il ritrovamento del suo corpo parzialmente nudo, la pulizia del pavimento intriso di sangue, fanno pensare ad un delitto compiuto senza fretta. Il primo ad essere sospettato è il portiere Pietrino Vanacore, perché ha la parte posteriore dei pantaloni sporca di sangue. Viene arrestato per 26 giorni.
 
Le tracce di sangue sono dello stesso Vanacore per una perdita dalle proprie emorroidi. Ma Vanacore si suiciderà poi, impiccandosi dopo 20 anni. Lascerà un biglietto nel quale giustifica il suo atto estremo perché sospettato ingiustamente. La coincidenza strana è che avrebbe dovuto testimoniare ad un processo tre giorni dopo, in una delle tante udienze a seguito delle indagini. Si suppone che Vanacore sapesse chi fosse stato l’omicida e che tacesse per paura.
 
Nel corso di tanti anni gli indagati sono tanti: Federico Valle, figlio di un architetto che abita nella stessa scala dove si è consumato il delitto. Si sospetta che il vecchio architetto Valle abbia avuto una relazione con Simonetta e che il figlio Federico voglia interrompere  questo rapporto uccidendo la povera ragazza. Si sospetta che il portiere Vanacore abbia aiutato il Valle a ripulire la scena del crimine. Ma successive indagini fanno abbandonare questa pista.
 
Poi si sospetta del fidanzato della vittima, Raniero Busco il cui DNA corrisponde a quello del sangue dell’assassino trovato in loco. Il processo lo condanna a 24 anni di carcere ma l’appello lo scagiona, per un alibi presentato successivamente. Altre indagini, senza risultati e riscontri positivi riguardano poi  Francesco Caracciolo, presidente della società dove Simonetta lavorava che secondo un testimone corteggiava la povera ragazza.
 
Innumerevoli libri e trasmissioni televisive si occuperanno della vicenda fino ai giorni d’oggi. Si prospettano piste anche fantasiose come i servizi segreti, oppure delatori di giustizia che misero gli inquirenti su strade sbagliate. Pochi giorni fa i Carabinieri hanno presentato un fascicolo in cui si sospetta anche del figlio del portiere Vanacore: Mario. Ma in Procura parlano solo di “ipotesi e suggestioni”. E di questo delitto ora sembra scendere un triste sipario di impotenza a fare giustizia.
 
 
 
 

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