Tra i casi di pluriomicidi senza colpevole il mostro del Friuli
di Patrizio Pavone
Tra il 1971 e il 1989 un killer terrorizza la provincia di Udine. Sembrerebbero 14 le vittime, anche se quelle sicure, riconducibili ad una sola mano omicida, sono 4, tutte con lo stesso modus operandi, ovvero con strangolamento. Ma successivamente il cadavere viene ulteriormente oltraggiato con taglio della gola e con ferite tra il petto e il ventre. L’assassino non viene mai individuato.
Le povere donne uccise sono quasi tutte prostitute di strada, in una zona dove, a causa delle numerose caserme di militari, questa professione è molto remunerativa anche per le organizzazioni criminali che sfruttano questo mercimonio, con donne spesso straniere. Tra le vittime almeno quattro sono attribuibili alla stessa persona poiché viene loro inferto lo stesso trattamento di oltraggio al cadavere, con dei tagli precisi forse inferti da coltelli da chirurgo.
Il metodo di uccisione passa prima per uno strozzamento, al fine di stordire la vittima di turno. Poi viene loro inferto un taglio della gola con la morte che sopraggiunge per dissanguamento, tra dolori atroci. Di seguito il killer infierisce con un taglio che parte dallo sterno, evita l’ombelico, ed arriva al pube femminile. Altra particolarità è che non viene mai ritrovata l’arma dell’omicidio o dei tagli post mortem.
La professione delle vittime solo in un caso differisce, tra le “preferenze” dell’omicida, per una donna, Marina Lepre, insegnante di scuola primaria di 40 anni. Ma in questo caso i sospetti si indirizzano su un finto ginecologo, sorpreso accanto al luogo del delitto ma scagionato poi per mancanza di prove. Resta il fatto che su molte vittime il taglio del basso ventre è operato con perizia e fermezza, come se si trattasse di persona esperta di chirurgia.
Su questo caso, lungo ben quattro lustri, vengono avviate molte indagini ma nessun colpevole e presunto tale viene mai portato in giudizio. Sul killer delle “squillo” è poi realizzata anche una serie televisiva, intitolata “Il Mostro di Udine”. Solo recentemente i RIS di Parma sono riusciti ad isolare il DNA da un profilattico ritrovato sulla scena di uno di questi crimini e su alcuni mozziconi di sigaretta ma ancora manca parecchio per realizzare un profilo del possibile omicida.
Nel 2019 i parenti di due delle vittime, Maria Luisa Bernardo e Maria Carla Bellone, presentano una richiesta presso la Procura della Repubblica di Udine per riaprire le indagini, ma anche questo tentativo non porta all’individuazione di nessun probabile sospettato e quindi di fatto sopravviene un abbandono di ogni inchiesta che così salva l’omicida dalla giusta condanna.