Aneddoti, vicende e curiosità della storia più contemporanea del territorio di Fiumicino
di Roberto Saoncella
Riprendiamo in mano la nostra rubrica lasciata questa estate, e torniamo a raccontare la storia recente del nostro territorio, sapendo che è quel collante che ci tiene insieme come comunità.
Torniamo, in questa nuova stagione di Passato Prossimo, con qualche novità, a cominciare dal fatto che non ci fermeremo più solo alla città. Ci occuperemo anche del resto del Comune. Varcheremo ponte Ceci, per conoscere le storie e gli aneddoti di un mondo agricolo, con Maccarese, Torrimpietra e Testa di Lepre, ma anche quello dal sapore marinaro come Passoscuro. Conosceremo meglio realtà come Fregene e Aranova. Sarà una sfida diversa, perché sarà più difficile cercare nei ricordi che mi legano a questa parte del territorio. Difficile ma non impossibile.
A cominciare proprio da quel ponte Ceci.. o ceci. È un nome proprio, magari un cognome, oppure no? Non risultano, nei pochi archivi recenti, tracce di qualsivoglia Ceci, benefattore, fondatore o altro. Su internet si ritrova solo la vicenda dei fratelli Ceci, uccisi dai fascisti. La storia meriterebbe l’intitolazione di un ponte, ma il fatto è avvenuto a Marsciano in Umbria, nulla a che fare con Maccarese.
Dal mio amico Giovanni Zorzi, ricevo la risposta più plausibile. Viale di Porto, fino a prima della realizzazione dell’aeroporto, proseguiva dritto fino alla Portuense e al castello omonimo. Quel ponte, solo uno dei tanti della bonifica, era un pò più importante degli altri, perché portava verso varie direzioni. Era un punto di riferimento e come tale necessitava di un nome. I campi circostanti erano, allora, coltivati appunto a ceci dall’azienda Maccarese, e da qui venne il nome. Ancora oggi è così, tutti lo chiamano, ma di ufficiale non c’è nulla.
Un ponte che però ha sempre rappresentato anche una sorta di portale. Quando andavo con mio padre a trovare i suoi amici di gioventù, varcarlo era un viaggio. Per me che a Fiumicino ero abituato ai napoletani e siciliani, il salto tra i veneti era netto. A casa di Luigino, ad esempio, era tutto bello, il trattore, la casa enorme, il giardino, il garage.. tutto tranne la nonna. Una signora che parlava con me una lingua quasi sconosciuta. “Toso, toma a carega” era il suo benvenuto. E il suo dialetto si mischiava a quello più romano dei figli e dei nipoti, e ne creava un effetto unico: nella cadenza, nelle P e nelle B. Era il Maccaresano, non un vero dialetto, ma piuttosto un modo di pronunciare alcune lettere e parole, che rendeva unico quel linguaggio… e che si poteva ascoltare solo varcando quello strano Stargate, chiamato ponte ceci.