Nella canzone italiana, soprattutto in quella leggera, la tematica del “divenire genitori” o del “figlio che sta per nascere”, si ritrova molto spesso fondamentalmente per due motivi
Il primo è perche il fatto di diventare genitore è sinceramente un evento che in un artista scaturisce un’ispirazione fortissima, tanto da far proiettare tale emozione in una canzone (o in una qualsiasi altra forma d’arte). Il secondo motivo – bisogna essere intellettualmente onesti – è che questa tematica raccoglie una fetta di pubblico immenso, dato che è una fase della vita che la maggior parte delle persone prima o poi vivono. Ovviamente le case di produzione tendono a far ruotare il mercato su questa cosa, a volte anche approfittando dell’evento avvenuto al cantante di turno (è il caso di Gianna Nannini?). Comunque, al di là dei dettami discografici, è molto interessante sviscerare la maniera con cui gli artisti affrontano la tematica del nascituro. Vediamone qualcuno.
Prendiamo una canzone come “Figlio, figlio, figlio” del cantautore R. Vecchioni, nella quale emerge subito un’abbondanza di assonanze e di rime insistenti a poca distanza, le quali rendono il testo molto musicale, quasi paragonabile ad una filastrocca per bambini. A mio avviso la chiave di lettura giusta dell’intero testo è da vedersi come un Dio-padre che pone domande all’Uomo–figlio sulle sorti dell’uomo stesso, sorti che sono affidate a quest’ultimo, il solo che può permettere il cambiamento in direzione positiva, dell’umanità. E’ dunque un testo critico nei confronti del futuro che stiamo costruendo, nel quale cresceranno le generazioni avvenire. Molto sinteticamente il brano è diviso in tre strofe: nella prima l’io narrante tende a confondersi e ad alternarsi tra un padre terreno e un Dio creatore, mentre la seconda sembra affidata quasi totalmente al quest’ultimo come anche i ritornelli; infine nella terza il Vecchioni uomo e padre emerge con le debolezze e le paure; ma più interessante è il fatto che padre e figlio sembrano legati e accomunati dagli stessi timori, per farci capire che i padri e figli, sono comunque figli dello stesso mondo e dello stesso destino.
Simile, ma non uguale, “Conto su di te” di A. Celentano canzone del 1982. Il molleggiato è diretto: con voce decisa invita il figlio a sedersi e ad ascoltarlo come il fedele ascolta il sacerdote dal pulpito. Il testo infatti si sviluppa il due messaggi molto chiari, il primo, dai contorni religiosi, è: sii umile, fai del tuo meglio, rispetta il prossimo e i tuoi genitori, credi in Dio, impegnati e non scoraggiarti delle avversità. Il secondo messaggio è l’invito a difendere il mondo dalla devastazione del cemento, dall’inquinamento, della guerre ecc, proprio tramite le prerogative propinate nel primo messaggio.
Un altro bell’esempio di canzone dedicata al nascituro è “Benvenuto” di Vasco Rossi. Inutile insistere sulla chiarezza del titolo; più utile è sottolineare lo smarrimento con il quale l’autore affronta l’evento del figlio che sta per nascere, un figlio che prima o poi diventerà un individuo autonomo, una persona adulta – come se i figli siano tali solo fino ad una certa età della loro vita – , un uomo che dovrà soffrire e dovrà scontrarsi con la durezza del mondo: il “benvenuto tra noi” è un benvenuto in questo inferno terreno. V.Rossi, quindi, si rende reo di far nascere un bimbo in un mondo di dolore, si colpevolizza per non aver pensato alle conseguenze di un atto che stupidamente è servito per salvare una “storia d’amore eterno” che comunque non sarebbe durato.
non par vero nemmeno a me
di essere un padre di un figlio che….
domani sarà un altro…..
che dovrà arrangiarsi bene….
darsi da fare….avere pene….
e qualche piccola soddisfazione…
Ma nonostante questo, il nuovo nato sarà in buone mani, verrà infatti considerato “un Re..!”, come viene gridato dalla voce solitaria all’interno del silenzio musicale alla fine del brano che va sfumando. Siamo lontanissimi dai toni progressisti e visionari degli artisti cresciuti negli anni sessanta; nel testo di V.Rossi è tangibile la vera e cruda vita vissuta.
Ultimo esempio, che si discosta nettamente da tutti gli altri, è il primo brano de “I milanesi ammazzano il sabato”, dell’album del 2008 degli Afterhours, gruppo Alternative Rock che ha partecipato e vinto il premio della critica nel Sanremo 2009.
Il brano in questione è “Naufragio sull’isola del tesoro”. Siamo in una dimensione favolistica, almeno per il primi tre versi del testo, nella quale l’antagonista-strega è un mutuo bancario che è vissuto come un sortilegio maligno che grava sulla casa (specchio straordinario dei nostri tempi?), da sempre simbolo di unione e di amore. Prosegue il testo con un linguaggio molto colorito che esalta la mistura di un momento di piacere carnale e di una recondita sofferenza interiore che verrà alleviata e confortata dalla nascita di una nuova vita.
Questo bambino ci salverà
piange per dirci che sa
Dalla noia nascon fiori unici
Che notte splendida
Per delle iene ridere
è come naufragare…sotto il mare c’e’ un tesoro
Emanuele De Chiara