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Sciantose nella “monnezza”

Purtroppo ritorna come argomento attuale, un’attualità che si protrae da lungo tempo, la mondezza di Napoli.

Per la Campania, ma anche per il resto d’Italia, è un tema così sentito e grave  che addirittura la parola stessa, “mondezza”, molte volte dai media viene meridionalizzata in “monnezza”, come se fosse un prodotto solamente napoletano, come dire Casatiello o Zeppole ecc!!
L’uso continuo e non più localizzato del regionalismo “monnezza”, potrebbe creare le condizioni per le quali il termine possa filtrare nella lingua corrente dell’Italiano e sostituire il corretto “mondezza” con il nesso “nd”; questo processo sarebbe l’emblema dell’importanza di questa deplorevole situazione e sopratutto la prova che le parole, oltre ad avere uno specifico significato semantico, hanno il potere di contenere frammenti di cronaca, spaccati di vita di persone e dunque di storia!
Non c’è da spaventarsi, la lingua è un sistema mobile, soggetto a cambiamenti costanti, quindi sarebbe del tutto normale una simile modificazione della parola, ammesso essa avvenga. Ma qualcuno potrebbe chiedersi, tutto questo cosa c’entra con la musica? Ebbene, se la parola “monnezza” oggi richiama la Napoli del 2010 con tutto quello che ne segue, ci sono altre parole meridionali, e in particolare napoletane, ormai accettate nell’uso comune, che sono intrise di una Napoli gloriosa, una Napoli culturalmente stimolante nella cultura, nel teatro e  nella musica.
Una di queste parole è “sciantosa”, adattamento napoletano del francese chanteuse, ossia cantante donna, naturalmente proveniente da oltralpe. Le chanteuse erano strettamente legate alla Francia settecentesca, e specificamente al nascente café chantant, il quale avrà il suo explua nella Belle èpoque parigina. Si trattava di uno spettacolo in cui potevano esibirsi attori di teatro, maghi, prestigiatori, ballerini e cantanti donne, che in Italia verrà conosciuto come Café Concerto, il quale sarà inaugurato per la prima volta al Cafè Margherita proprio a Napoli nel 1890. Ma nel Cafè Concerto, almeno agli inizi, si esibivano solamente le chanteuse provenienti dall’estero, come l’ungherese Rosa Dorner o la viennese Dora Parner, oppure la famosissima Clèo Mèrode detta “la bella Otero”, ma c’erano anche le meno famose, ma altrettanto brave, Lucy Nanon e Eugenie Fougère, così le nostre cantanti furono costrette ad adottare pseudonimi soprattutto francesizzanti per aspirare all’etichetta di ètoile internazionale, diva internazionale, e quindi far parte delle star del Cafè Concerto. Possiamo fare l’esempio di una Aurelia Addati, che, in maniera originale, rovesciò le lettere del suo nome il quale divenne Itadda Ailerua, oppure di Adele Croce, di Angiola Lombardi, o di Giovanna Cardini, le quali trasformarono il proprio nome e divennere rispettivamente Yvonne De Fleuriel, Fulvia Musette e Nina De Charmy.
A differenza di quello estero che era nato sotto l’insegna dell’ eleganza e dell’intelligenza, il nostro Cafè Concerto era proiettato quasi esclusivamente sull’immagine della bellezza femminile peccaminosa; gli spettacoli erano infatti farciti di giochi maliziosi e le canzoni erano piene di doppi sensi. Dopotutto qualche tempo prima, sempre a Napoli, si era testato per la prima volta un nuovo tipo di spettacolo che diventerà genere a se, lo spogliarello, nel quale divenne celebre “la mossa”, altra locuzione di origine napoletana passata nel linguaggio comune.
La donna, in questo periodo è vista come maliziosa e disinvolta, pericolosa e fatale come un vampiro, o per utilizzare un altro vocabolo coniato nelle letteratura dell’epoca, una vamp, termine attribuito spesso anche alle nostre chanteuse o sciantose, s’intende!
 
Emanuele De Chiara
 

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