Ecco le prospettive socio-demografiche del nostro paese
Con sempre maggiore frequenza possiamo vedere nel panorama socio-demografico italiano l’aumentare esponenziale di una categoria che nel lessico di tutti i giorni viene definita la categoria degli anziani.
Che l’Italia fosse una paese demograficamente vecchio già si sapeva, ma la novità sono i dati emersi nella ricerca statistica e nelle proiezioni dei demografi che hanno lavorato al World Population Prospect delle Nazioni Unite. Si tratta di un progetto che ha luogo da 24 anni a questa parte, commissionato dal Population Division of the Department of Economic and Social Affairs delle Nazioni Unite appunto, volto a fare una stima della popolazione mondiale e delle riguardanti particolarità Stato per Stato.
Tra il 2016 e il 2017 – dicono i dati – gli ultra 65enni saranno molti di più dei bambini piccoli della fascia d’età che va da 0 a 4 anni. In parallelo a questa tendenza, aumenteranno anche le persone che riusciranno a raggiungere un’età a tre cifre, fino a raggiungere un probabile picco nel 2100, quando i bambini saranno circa 650 milioni e gli anziani oltre 2,5 miliardi.
Certo, queste previsioni non saranno mai valide al 100%: si tratta di stime che tengono conto dei valori più bassi, poiché non sempre e non ovunque – soprattutto per le caratteristiche anagrafiche del nostro Bel Paese – i documenti anagrafici sono rintracciabili. Però i dati che abbiamo in possesso dicono qualcosa e fanno riflettere.
Per fare un confronto, se nel 1950 si contavano pochissimi individui over 100, statisticamente, tra poco più di 30 anni se ne conterà uno ogni 480 persone. E forse il secolo di vita non farà neanche più notizia, da noi come in altri grandi Paesi del mondo. Ad oggi infatti gli Stati Uniti sono il Paese con il più alto numero di centenari (72 mila), seguiti da Giappone (61 mila), Cina (48 mila), India (27 mila) e Italia, al quinto gradino del podio, che conta attualmente 25 mila abitanti che hanno compiuto il centesimo anno d’età. Ma tra 34 anni, ossia nel 2050, le stime prevedono che queste persone saranno circa 216 mila; una progressione che porterà l’Italia davanti all’India nella classifica appena citata.
Si tratterà di un fattore positivo o negativo? Ai posteri l’ardua sentenza.
I cambiamenti demografici in atto lasciano intravedere un avviato mutamento sociale e culturale e la necessità di cogliere la multidimensionalità, ma anche le cause, le conseguenze e le necessità della nuova e futura popolazione italiana. L’accrescere del fenomeno dell’invecchiamento demografico è influenzato certamente dal calo delle nascite e dall’allungamento della speranza di vita, ai quali si accompagna le migliori condizioni di salute, i maggiori livelli di istruzione e benessere diffuso, e infine uno slittamento progressivo verso età sempre più avanzate dell’inizio del periodo di morbilità, cioè del momento in cui con maggior probabilità si assiste ad una più frequente cronicizzazione delle problematiche di salute della persona anziana. Questo anche perché le esperienze di vita quotidiana – attualmente e nel futuro – portano ad una posticipazione della transizione alla cosiddetta età non attiva: la scelta (imposta) di rimanere più a lungo nel mercato del lavoro e, una volta terminata l’attività lavorativa, la ridistribuzione delle proprie risorse fisiche e mentali in attività più consone alle mutate condizioni di vita, una volta raggiunta la pensione, determina in pratica una nuova modalità di progettazione del proprio futuro creando nuove vie da vivere e tracciando percorsi di utilizzo delle proprie risorse ancora inesplorati.
La condizione anziana si presenta dunque come una fase del ciclo di vita dell’individuo sempre più estesa temporalmente e diversificata: gli anziani di oggi saranno i “giovani anziani” di domani.
Le trasformazioni demografiche e i trend sociali che abbiamo analizzato mettono sotto i riflettori una verità: una popolazione anziana emergente, destinata ad un aumento costante, ad un allungamento della speranza di vita; con una maggioranza di soggetti collocati sempre più frequentemente nelle zone più alte della struttura piramidale per età, oltre gli 80 anni.
Queste dinamiche porteranno probabilmente ad un divario più ampio tra anziani e giovani, cioè tra coloro che saranno – numericamente e non solo – sempre più bisognosi di assistenza, e coloro che – in netto svantaggio quantitativo – potranno soddisfare i bisogni di assistenza della parte più anziana.
Sicuramente il panorama socio-assistenziale sta subendo e subirà profondi cambiamenti, innescando in modo imprevisto e inaspettato la nascita di nuove strategie per far fronte a questo genere di problemi. Si pensi ad esempio al ruolo delle badanti, tassello recente ma essenziale nell’attuale sistema di assistenza e destinato a diventarlo sempre di più, o al miglioramento della qualità dei servizi offerti, sempre più spesso a domicilio. Ma si pensi anche all’avanzare delle soluzioni tecnologiche ed informatiche per la gestione della condizione anziana, un altro fondamentale fattore di miglioramento.
È implicito notare, in conclusione, la presenza di un’auto-sfida, ora e non solo, per tutte quelle politiche sociali e demografiche che prima di tutto hanno l’arduo compito di riconoscere la componente qualificante e quantificante della popolazione anziana, e poi il dovere di agire – formalmente e informalmente – sull’ampio panorama descritto, migliorando quanto più possibile la situazione presente e futura, positiva o negativa che sia.
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