La Stazione … un racconto di Leonardo Bonetti
J.W. Goethe, Torre Alessandrina, Magazzini, Chiesa del Crocifisso e capanna dei pescatori a Fiumicino, 1786
Il 6 maggio 1878 fu inaugurata la stazione di Fiumicino Porto Canale. Sulla nuova linea delle Regie Ferrovie centinaia di braccianti ravennati e romagnoli, giunti dopo tre lunghi giorni di viaggio, furono accolti dalla popolazione e ospitati presso la villa dei Conti Primoli. L’opera di bonifica dell’agro romano strapperà terre alle paludi promettendo di debellare definitivamente la malaria da quei luoghi.
C’è una striscia di terra, nel fondo del porto antico, che è la terra mia, ma non solo: Fiumicino, ricovero di tutti gli orfani del mondo. Qui, da ogni luogo perduto, si son dati convegno da sempre uomini di pesca e palafitte. Così da allora una Shangai numerosa, affollata e ridicola nella morte come nella vita, un’umanità sofferta di malaria, d’asilo, di lavoro, che vive in capanne di strame e di granturco da cui esce fumo notte e dì, è sorta lungo il fiume e lungo la riva: uomini e donne con la terra ai calcagni e le mantelle strappate. E intorno dune, e ancora dune e canne e intrichi e acquitrini. Fiumicino, picciolo canale, lama dei pescatori – sussurro alla bimba mia – ripa assolata; Fiumicino rifugio di cormorani, di garzette, di falchi pellegrini. La mia terra, insomma, tirrenica più d’ogni altra, paludosa per vocazione, insabbiata come i porti destinati l’un dopo l’altro all’abbandono sin dai tempi di Claudio, sin dai tempi di Traiano. Terra su cui il mai troppo temuto Leone XII, forse per mitigare la sua durezza, fece edificare un Borgo lungo il canale sessant’anni or sono, con la chiesa di Santa Maria della Salute e la firma dell’Architetto francese delle Fabbriche Camerali. Ma oggidì, 6 maggio 1878, è giorno di festa che non verrà dimenticato. Ho condotto con me Delina, mia bimba ornata di nastri multicolori, e la mia consorte, anche, con in grembo il secondogenito, Nicola di babbo Sante, venuto di Sardegna. Stamattina, a vederle preparare, mi mancava persino il cuore. Così ho coperto di baci il viso di Delina rischiando di sgualcirle gli abiti di seta.Al seguito dei Primoli, dieci anni or sono, venuti come governanti nella villa a comandare la servitù e gli stallieri, ora ci scopriamo per miracolo salvati dalla malaria e dalla palude. Oggi, infatti, i coloni di Romagna verranno a dar manforte per scavar canali e bonificare la terra su cui calchiamo i piedi: quando si tratta di vita o di morte il Re risponde sempre in nostro favore. Le Regie Ferrovie, infatti, inaugurano la stazione, la stazione di Porto Canale!, e ognuno reca in dono ai lavoratori del Regno una camelia o una dalia ballerina.La terra e il mare, stanotte, hanno cantato, lo giuro; poi lo scirocco è cessato per incanto. Ma ancora sotto il potere delle piccole nubi dell’alba, come cupolette rosse e azzurre, la cittadina s’è svegliata sorpresa della sua festa. Ed ecco, una folla scorre ora lungo il canale fino alla Torre Alessandrina; poi si raduna sulla banchina attendendo l’arrivo del treno. I bambini, intanto, giocano intorno ai binari nuovi di zecca impressi dal marchio del Re. Eccolo laggiù!, gridano, ma è un gioco. Eppure nessuno ha l’animo di restare indifferente, e gli uomini sfilano il cappello, e le donne sciolgono i nastri, e il sacerdote getta un segno di croce verso i bambini come verso l’orizzonte dove i binari si fondono in un punto doloroso. No, è solo la prova generale per la banda che, al frastuono dei bigliettini colorati, esplode in nuvola cangiante: ogni colpo di tamburo uno sbuffo multicolore capace di mettere in affanno l’autorità, il vescovo, il prefetto, il notaio, il dottore. Quindi un improvviso scoppiar di battimani e di luce, e di fuoco d’ottoni, e di trombe, e di tube.Laggiù però, stavolta, un filo di fumo si alza: è la motrice, nera, sbuffante e dalle mille braccia, braccia d’uomini e berretti azzurri a sventolare un saluto carico di pace e prosperità, carico di futuro.Questa stazione vivrà!, gridiamo, vivrà la stazione e vivrà Fiumicino!; Fiumicino picciolo canale, lama allagata di pescatori, ripa assolata della bimba mia.
Leonardo Bonetti
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